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Bollette, piu' gas italiano contro i rincari

Bollette, più gas italiano contro i rincari. Ma servono due anni per raddoppiare le estrazioni

Le risorse già scoperte possono garantire il 7% del fabbisogno nazionale, rispetto all’attuale 4%. Il piano di Cingolani per aumentare le estrazioni nell'Adriatico, ma le norme sono restrittive e molti esperti hanno dubbi: “Meglio guardare avanti alle rinnovabili”

ROMA - Contro il caro energia, il governo ha appena approvato una serie di aiuti alle imprese, 1,7 miliardi per il taglio delle bollette. Non sono, invece, stati approvati quegli interventi strutturali di cui aveva parlato a più riprese anche il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. In primis, la possibilità di aumentare la produzione nazionale di gas naturale.

In attesa delle decisioni del governo, si è acceso il dibattito. Partendo da un semplice assunto: di fronte all’esplosione dei prezzi del gas sui mercati (saliti in Europa fino al 600 per cento in un anno), non si potrebbe aumentare la quota estratta dal sottosuolo italiano? Essendo una risorsa interna ne beneficerebbe la bolletta energetica, abbattendo gli extracosti del trasporto e del sovrapprezzo dovuto alle importazioni.

La richiesta è stata avanzata, a gran voce, dal mondo delle imprese, nonché da una parte degli operatori nel settore oil&gas. L’Italia è al quinto posto per quantità di gas naturale estratto ogni anno in Europa, alle spalle dei Paesi che si affacciano sul Mare del Nord (Norvegia, Gran Bretagna e Danimarca) e dopo la Romania. Si tratta di 3,5 miliardi di metri cubi relativi all’anno appena concluso, in calo rispetto ai 4,4 miliardi del 2020 e lontanissimi dalle punte di 17 miliardi toccate nei primissimi anni 2000. Così oggi la produzione interna copre appena il 4% del fabbisogno nazionale. Il restante 96% viene importato, per lo più da Russia e Algeria, più quote minori dal Mare del Nord, Azerbaijan, Qatar e Libia. Potrebbe aumentare la produzione nazionale e in quali tempi? Secondo gli esperti, le risorse già scoperte potrebbero portare nel breve periodo al raddoppio della produzione, arrivando a soddisfare almeno il 7-8% della domanda nazionale. E sul lungo periodo, addirittura il 14-15%.

Ma per quanto sia breve il periodo, i tecnici parlano di almeno 18-24 mesi per portare il primo gas estratto nella rete. Non si tratta di aumentare la produzione da impianti già attivi, ma di scavare nuovi pozzi. Sempre che, nel frattempo, vengano rimossi dal governo ostacoli relativi ai permessi di estrazione, in primis una serie di vincoli ambientali.

I giacimenti già individuati si trovano in Mar Adriatico e, in parte, nel Mar Jonio. Per essere sfruttati occorre, innanzitutto, superare due ostacoli. Il primo di carattere ambientale: nell’Alto Adriatico, da tempo, gli esperti - geologi e docenti universitari - dibattono sul fenomeno della subsidenza, che può causare un abbassamento del fondo marino e che - in questo caso - potrebbe essere causato dall’attività estrattiva. Cittadini di quelle zone e ambientalisti hanno ottenuto che nell’Alto Adriatico, dove i possibili giacimenti sono vicini alla costa non vengano scavati nuovi pozzi. Poi c’è il limite di estrazione entro le 12 miglia marine, un provvedimento ripristinato nel 2015 e che rappresenta una delle più severe limitazioni sulla ricerca di idrocarburi nel mondo.

Anche superando tutto questo, quali sarebbero i benefici sul prezzo? Sicuramente l’aumento della produzione nazionale avrebbe una influenza positiva, ma c’è chi ricorda che altri interventi avrebbero impatti molto più significativi. Per esempio, raddoppiare la capacità di trasporto del gasdotto Tap, che porta il metano azero fino alle coste della Puglia e che al momento copre il 10% del fabbisogno nazionale: anche se quel metano viene importato è stato fondamentale per chiudere lo “spread” tra i prezzi del gas in Italia e quelli del Nord Europa.

Anzi, nelle settimane scorse, i prezzi italiani erano addirittura più vantaggiosi, al punto che alcuni operatori hanno venduto partite di metano oltre confine. Così come è stato fatto notare che la costituzione di stoccaggi di gas comuni a tutti i paesi Ue (proposta avanzata proprio dall’Italia, dove potrebbe fare da guida industriale il gruppo Snam) porterebbe ad altrettanti vantaggi per abbassare il prezzo della materia prima.

Infine, c’è chi ha ricordato come l’Italia sia avviata verso la transizione energetica. È il parere di Carlo Capé, amministratore delegato di Bip-Business integration Partner, la principale società italiana di consulenza per le imprese: «Estrarre più gas avendolo a disposizione è una forma di autodifesa: potrebbe essere una risposta nel breve termine. Ma occorreranno almeno due anni per attivare nuovi pozzi e a quel punto la tempesta sui prezzi potrebbe essere alle spalle. Inoltre, abbiamo deciso di puntare sulle rinnovabili, sul biogas e la rete viene già adattata per il passaggio dell’idrogeno. Sarebbe meglio guardare avanti».

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